Non chiamatelo parrucchino: facciamo chiarezza nella storia della protesi capelli.
I capelli bianchi, segno indiscutibile di fascino negli uomini maturi e sintomo di preoccupazione per le donne che li tingono per nasconderli, sono da sempre considerati un’inarrestabile conseguenza del trascorrere del tempo.
Un recente studio, pubblicato su ‘Faseb Journal’, invece, pare smentire l’irreversibilità del fenomeno dell’incanutimento. Gli scienziati dell’University of Bradford, in collaborazione con l’Institute for Pigmentary Disorders e all’EM Arndt University Greifswald, dopo aver condotto ricerche e analisi su un campione cospicuo di persone (circa 2.400) di tutte le nazionalità, hanno testato l’efficacia dell’enzima Pc-Kus (pseudocatalasi modificata) contenuto in una crema topica usata per la cura dei malati di vitiligine (malattia della pelle caratterizzata dalla comparsa di chiazze non pigmentate sull’epidermide).
Gli studiosi hanno ipotizzato una certa similitudine di funzionamento tra la vitiligine e il fenomeno dei capelli bianchi, entrambi, infatti, sembrano essere legati a un accumulo di scorie dovute allo stress ossidativo (perossido d’idrogeno). L’eccessiva presenza di questa sostanza nel bulbo pilifero sarebbe tra le prime cause del fenomeno dell’incanutimento. L’enzima Pc-Kus si attiva con l’esposizione a raggi ultravioletti di tipo B e sarebbe in grado di ripristinare il colore originario non solo della pelle che ha perso il pigmento, ma anche di capelli e sopracciglia.
I ricercatori sostengono di aver compiuto un primo passo verso la soluzione del problema dei capelli bianchi, restiamo quindi in attesa di successivi studi che possano confermare l’efficacia della cura.